Giovedì 19 maggio Susanna Sciaky, Presidente Nazionale ADEI WIZO, è intervenuta al convegno on line intitolato “Responsabilità” e organizzato dagli Stati Generali delle Donne con la Consulta Femminile di Milano e la partecipazione anche della Consulta di Trieste. Si è parlato molto di “responsabilità” intesa in senso profondamente etico e per la Presidente dell’ADEI WIZO è stata l’occasione per esplorare le motivazioni profonde che sono il motore di volontariato e dell’associazionismo, con uno sguardo in particolare al mondo femminile e all’etica ebraica.
Vi porto con piacere una testimonianza su un tema che da sempre sento molto presente e forte sia nel mio contesto associativo sia nella vita privata.
Voglio parlare di responsabilità individuale e di quanto in quest’epoca sia sempre più frequente la sensazione di deresponsabilizzazione che ha il sopravvento in chi non sa ammettere i propri errori. Queste persone spesso non sono in grado di assumersi, nel presente e nel futuro progressivo, una condotta che rispetti gli obblighi delle loro posizioni e che sia in adesione al disegno degli impegni che queste posizioni richiedono.
La deresponsabilizzazione si può legare al concetto di colpa su due livelli: il primo, molto più istintivo, che a fronte di un errore e di una mancanza, dice “è colpa degli altri”. Il secondo, più sottile e che richiede una buona dose di autocritica, ricade sulla consapevolezza dell’inadeguatezza delle proprie scelte.
Quindi “io non sono adatto”, “non è il ruolo che fa per me”, “ho accettato, ho scelto per motivi lontanissimi da qualsivoglia consapevolezza”.
Sigmund Freud diceva “La maggior parte delle persone non vuole veramente la libertà, perché la libertà comporta responsabilità, e molte persone hanno paura della responsabilità” ed è bene tener conto di queste parole se vogliamo raggiungere una crescita personale che passa dall’affrontare questa paura già fin dalla più giovane età, quindi nella fase dell’educazione con il supporto di altri, ma anche da adulti con l’unico supporto di sé stessi.
Se non si affrontano i problemi, le domande, le scommesse e i bivi che la vita presenta assumendosi la responsabilità di scegliere, non si cresce e non si diventa adulti, come altresì è importante saper chiedere scusa o perdono o dire la magica parola “GRAZIE”. Chiedere scusa o ringraziare non significa debolezza, anzi dimostra la forza e la capacità di riconoscere un proprio sbaglio, assumendosene la responsabilità, e potendo così ricominciare da capo o migliorare una situazione. Vuol dire prendere una posizione ben netta che, partendo da uno svantaggio apparente, si trasforma in un vantaggio evidente.
L’ammissione di un errore è parte importante della soluzione di conflitti o dell’apertura di dialoghi, e pone così le basi di nuovi rapporti più sani e positivi, dove si può riconquistare il terreno della stima e del rispetto reciproco. È importante sapere individuare i propri errori, che possono essere corretti e saperli ammettere a noi stessi, prima di tutto, e agli altri.
Perché quasi tutte le situazioni possono essere rimediate, proprio partendo da sé stessi in quanto, nel momento in cui uno si assume la responsabilità di sé stesso, riesce a trasmettere al suo inconscio un messaggio di sicurezza e di serenità interiore.
Essere responsabili implica imparare a gestire i problemi in prima persona, senza delegare ed è, in definitiva, un modo di essere, una filosofia in cui la coerenza diventa il fulcro dell’esistenza stessa e si accompagna alla riflessione prima di agire.
Assumersi la responsabilità di sé stessi e delle proprie scelte fa si che proprio sia il controllo del timone della nostra vita e la libertà di scelta di quale direzione intraprendere: in due parole significa essere padroni di sé stessi.
Alla base del volontariato e dell’associazionismo c’è la volontà del singolo di assumersi una responsabilità nei confronti di una comunità o di un’ideale e l’impegno sociale che ne deriva, ha una sua ragion d’essere se ha lo scopo di modificare la società ai fini del progresso della qualità della vita di chi è più debole.
Qui entra in gioco ancora una volta la responsabilità che porta chi si dedica al volontariato a prendersi cura del prossimo, spendendo le proprie energie e il proprio impegno in progetti vicini e immediati nel tempo o anche nella visione del futuro e del cambio della società.
Proteggere: dal latino pro (davanti) Tegere (coprire) : il coprire che difende. Non è questa responsabilità? E Promettere (nel senso del futuro): promettere come assicurare e far sperare.
Chiunque accetti una carica dovrebbe essere ben consapevole degli obblighi che questa comporta e assolverli con leggerezza, senza lamenti (pena la ridicolizzazione e la dimostrazione plateale e pubblica della propria inadeguatezza).
Ogni nuova responsabilità assunta, ovunque e soprattutto nel nostro campo, comporta un lavoro di adattamento con la propria vita privata, nel senso che quest’ultima deve necessariamente far posto a incarichi e obblighi previsti, che sono di fondamentale importanza anche se non sono retribuiti. O, invece mi piace pensare, che siano gratuitamente retribuiti, affettivamente retribuiti, solidamente retribuiti.
Si possono vivere insieme situazioni difficili ed emotivamente molto forti: questo crea legami. Se questo non succede, se la nostra vita non si adatta, è meglio prendere un’altra strada. È alquanto imbarazzante ricoprire ruoli solo per dare pubblicamente visibilità alla propria immagine.
Questo discorso è altrettanto valido nel volontariato femminile. Dalla tradizionale e poco attuale definizione di “angeli del focolare” , le donne si sono affrancate e realizzate, uscendo da un cliché ormai stereotipato, nella vita professionale e anche ampio spazio hanno conquistato nel mondo dell’associazionismo, superando negli ultimi anni il numero di volontari maschi e, con grandissima saggezza, lungimiranza ed abnegazione dedicano tantissimo tempo a questa attività.
Tutto questo è, ancora una volta, responsabilità individuale e nei confronti del prossimo: individualmente, perché coinvolge in prima persona, collettivamente perché il volontariato è per definizione verso l’altro.
Il Talmud dice: kol israel arevim ze la ze “tutti i figli di Israele sono responsabili gli uni per gli altri”. Questo è uno dei principi dell’etica ebraica. La responsabilità per l’altro, ach’raiuth, è al centro della riflessione di eminenti filosofi di origine ebraica come Emmanuel Levinas, Martin Buber, Hannah Arendt ed Hans Jonas, che ne hanno radicalizzato l’essenza fino a rappresentare l’intera esistenza umana come infinita responsabilità per l’altro. Per Levinas la responsabilità è la struttura essenziale, primaria e fondamentale della soggettività. Per Buber la responsabilità è la capacità di dare risposte all’altro, quindi un concetto strettamente collegato alla relazione.
Il Talmud dice: io in prima persona ho la responsabilità che devo assumermi e ciò è il concetto che deve permeare la mia esistenza. Ma devo anche assumere sempre una responsabilità in più rispetto all’altro: sono responsabile perfino della sua responsabilità verso di me – en lavadar sof, cioè all’infinito, Nell’etica ebraica il senso di responsabilità, non solo individuale ma collettiva, è talmente forte da essere posto a guardia della salute e dell’integrità morale dell’individuo.
Parimenti esiste una responsabilità del singolo anche nel momento in cui assiste a un’azione sbagliata compiuta da altri nei confronti di terzi e non fa nulla per evitarla.
Si assume così la responsabilità non solo delle proprie azioni ma anche di quelle altrui.