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Trovare un nome al silenzio. 


Dal Desk della Presidente


Care Amiche,

In questo triste anniversario in cui sentiamo ancora più forte il dolore che ci perseguita, voglio condividere con voi questa riflessione su un sentimento che accomuna molti di noi: l’incapacità di trovare le parole che potrebbero dare un senso a questa angoscia infinita, permettendole di fluire e attenuarsi.  Sono pensieri che, grazie ad un’amica speciale dell’ADEI WIZO, Francesca Nocerino, troverete pubblicati anche sul portale Setteottobre.com, nella sezione “Magazine” L’esprit du temps, https://setteottobre.com/blog/, insieme a quelli di importanti personalità del mondo della politica, istituzioni, cultura e giornalismo, che vi invitiamo a leggere e condividere. 


Trovare un nome al silenzio. 

Man mano che il primo anniversario del 7 ottobre si stava avvicinando ho cominciato a chiedermi se nel futuro troveremo un nome con cui identificare questa data o rimarrà per sempre “il 7 ottobre”. Nel calendario ebraico la maggior parte delle tante ricorrenze hanno una parola che le lega alla nostra tradizione o alla nostra storia moderna, ma è significativo che si indichi solo con la data “TISHA’ BEAV”, il giorno in cui si commemora la distruzione del Tempio, considerato il giorno più triste della storia ebraica e che cade, appunto, il 9 del mese di AV.E forse rimarrà solo una cifra anche il giorno in cui, un anno fa, si è abbattuto su di noi questo tsunami di dolore, in cui 1.500 persone sono state uccise, stuprate, mutilate o trascinate nell’oscurità nel nome del puro odio. Sarebbe peraltro comprensibile: le parole servono per razionalizzare la nostra esperienza, per dar loro un senso. In psicanalisi sono essenziali per superare un trauma, ma come è possibile spiegare con una parola una violenza così al di fuori del contesto umano? C’è voluto molto tempo perché i sopravvissuti della Shoah trovassero la voce per descrivere ciò che avevano vissuto nei campi di sterminio e anche chi narrava lo faceva con il dubbio che non sarebbe stato mai creduto. Ottant’anni sono passati e tocca a noi non avere parole e, quel che è peggio, sembra che ci siano ancora meno orecchie in grado di ascoltare il nostro lamento.I soli nomi che riusciamo a scandire sono quelli che rendono concreta la nostra sofferenza. La lista dei caduti che si allunga di giorno in giorno: soldati, civili periti in attentati per le nostre strade, o colpiti da razzi e missili che ancora in questi giorni piovono su Israele, uomini e donne rapiti che oramai sappiamo uccisi, mentre speriamo incessantemente per tutti gli altri. Ci aiuta sapere che la società israeliana è solidale di fronte alle avversità. In questi mesi la rubrica dell’ADEI WIZO “Voci da Israele” ha raccolto le testimonianze di oltre 40 Italiani che vivono lì da tempo. Nessuno ha rimpianti, quella è la loro casa, chiedono solo poterci vivere in pace. È solo attraverso questa volontà che un giorno usciremo dal silenzio del lutto che ancora ci attanaglia. Quando tutto sarà finito e saremo ancora in piedi, poco per volta ricostruiremo anche i nostri cuori e allora saranno proprio loro più che la nostra bocca a trovare le parole. Ancora una volta quei cuori affideranno alle prossime generazioni il racconto di come il male non ci abbia sconfitto.


Susanna Sciaky, Presidente nazionale Adei WIZO

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