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Voci da Israele

Aggiornamento: 28 ago

Usare la forza della verità per difendersi da chi diffonde l’odio è il proposito che ci ha spinto a creare per il mese di luglio questa rubrica nelle nostre news, nella quale alcuni amici dell’ADEI WIZO che vivono in Israele e stanno vivendo sulla propria pelle il dramma di un Paese costantemente sotto attacco, ci racconteranno la loro quotidianità. Voci e immagini che ci parlano di una vita difficile e costituiscono un’autorevole testimonianza di quando sia angosciante e doloroso, anche fisicamente, vivere sotto la minaccia di chi ha giurato di sterminare un intero popolo.



Michael Sierra, israeliano e figlio di genitori Italiani ci invia il suo video nel triste giorno in cui sei ostaggi sono stati trovati barbaramente uccisi da Hamas, prima che fossero liberati dall’IDF. Ne nasce una riflessione tra le date a partire dal 7 ottobre che si ferma in particolare sul 18 novembre, uno shabbat, la data in cui gli viene annunciato che il fratello di sua moglie, Shachar, è caduto a Gaza. Oggi, purtroppo, ogni israeliano ha da ricordare qualcuno come Shachar, e Michael ci fa un bellissimo ritratto di questo ragazzo di 21 anni che aveva comprato un biglietto per le sue vacanze in Thailandia e invece a ottobre era partito per Gaza. Lo fa soprattutto attraverso le sue ultime parole inviate per lettera mentre stava arrivando al fronte: un inno alla vita che vale la pena di ascoltare.




Raphael Barki ci tiene a farci sapere, con nostro piacere, che abita a Tel Aviv a due passi dal quartier generale della WIZO. Ma al di là di questo, il suo intervento mette in luce la straordinaria mobilitazione da parte dei cittadini in questo anno così difficile per Israele. Ci racconta delle file di centinaia di metri di fronte agli ospedali per donare il sangue, dei gruppi auto-costituiti di volontari che danno una mano dove possono e magari, come Raphael stesso, si ritrovano ad accompagnare i ospiti di un centro geriatrico o di assistere gli sfollati del Nord. Conclude con le parole della Parasha di Reè, letta lo scorso Shabbat, spiegandoci che le parole della Torah ci suggeriscono la via da seguire anche in questo momento difficile: “Parla della strada della benedizione e della maledizione, noi vogliamo intraprendere la strada della benedizione per il mondo intero



Il messaggio di Dafne Guetta ci arriva in un momento davvero particolare: suo nipote Tom Reuveni ha appena vinto per Israele la medaglia d’oro alle Olimpiadi nel Windsurf.  Del resto, lui è il primo di una famiglia che è stata contagiata dalla passione per questo bellissimo sport. È uno squarcio di normalità e di orgoglio in mondo complesso, dove la Professoressa Guetta si è trovata anche di fronte a un boicottaggio dell’Università di Madrid per il solo fatto di lavorare per un ateneo Israeliano.




Sono ottimista: questo non è il conflitto tra Israele e i Paesi Arabi. È il conflitto fra un polo iraniano che ci vuole buttare in mare e un resto del mondo di cui fanno parte anche i paesi arabi moderati che vogliono costruire un futuro migliore con noi”. È un giudizio importante quello di Marina Foà in Israele da 48 anni e “fieramente sionista”, come si dichiara, “perché credo che sia il posto migliore PER un ebreo dove vivere”, ma anche convinta che un futuro migliore sia possibile persino dopo questa terribile prova.




Samuele Rocca è Docente di Storia di Architettura presso l’Ariel University e di Storia dell’arte presso la Neri Bloomfield Academy of Design and Education di Haifa. Il 7 ottobre si trova a Berlino: con la moglie, violinista, che a differenza di lui impiegherà più di un mese per rientrare in Israele. Nel frattempo, il figlio più grande è richiamato dall’IDF, il più giovane è in servizio nei paracadutisti e poi anche la figlia parte volontaria. In un anno, così difficile per la sua famiglia, Samuele riesce a pensare anche ai suoi studenti dell’Università a cui cerca di dare gli strumenti per continuare a frequentare. Una vocazione che rende ancora più assurdo il boicottaggio di cui è stato vittima da parte dell’Università di Pisa e che non fa onore al mondo della cultura di cui è portavoce.




Michael Sorani vive e lavora dal 2010 in Israele, a Ramat Gan vicino a Tel Aviv, sposato, tre figli piccoli, Ha scelto di parlarci con lucidità di come la percezione della realtà nella società israeliana si sia trasformata dal 7 ottobre. Dall’incredulità dei primi giorni, all’apprensione, a quel desiderio di tornare alla normalità interrotto continuamente dal succedersi degli eventi. “Si fa fatica a spiegare ai figli piccoli perché si debba andare nei rifugi” confessa. Ma si fa fatica anche a superare il rumore di fondo di apprensione e Le notizie quotidiane. E tuttavia bisogna continuare a lavorare come sempre, perché anche mandare avanti l’economia del paese è un modo per fare la propria parte.  




Alisa Campos è nata a Venezia e vive a Gerusalemme dal 1998. È assistente sociale in una ONG che lavora con bambini che crescono in famiglie disagiate ed ha lei stessa due bambine piccole a cui badare. Ci racconta come dal 7 ottobre la sua vita di svolga su due binari paralleli: in uno c’è la quotidianità in cui sono contenuti i bisogni delle sue figlie, nell’altra la paura per ciò che è successo e per ciò che potrebbe succedere. Ogni tanto i binari si sovrappongono, generando un’insopportabile dissonanza fatta di incubi e tristezza con cui è difficile convivere. 




Ci regala una poesia Ariel Viterbo: si intitola “Angoscia” ed è un titolo che riassume bene il senso di dolore di chi vede ogni elemento della propria vita completamente stravolto dalla violenza. Ariel vive in Israele dal 1985 nei pressi di Gerusalemme, due figlie sono Ufficiali dell’esercito e anche la terza è stata richiamata nell’IDF. “Per la prima volta abbiamo sentito che il futuro di Israele non è assicurato”, racconta prima di lasciarci ai suoi appassionati versi.




Alessandra Sabbadini, vive a Herzliya, una cittadina a nord di Tel Aviv che fino a oggi si è rivelata abbastanza tranquilla. La sua è una testimonianza del coinvolgimento della società civile che ci hanno raccontato anche le tante Voci da Israele già pubblicate in questa rubrica. Alessandra, si è mobilitata fin da subito nel centro WIZO di Herzliya: “Quello che mi ha dato la forza per andare avanti in quei giorni è stato il fatto che tutti quanti ci siamo dati da fare”, racconta.  Ci parla di una nazione traumatizzata: “Ma non esiste un’alternativa, questa è la nostra casa”.




“Ho sempre raccontato agli amici in Italia che vivere qui era un po’ come vivere sotto un vulcano che ogni tanto esplode e poi si calma”. Stavolta però l’eruzione è continua. Luisa Levi D’Ancona Modena, che da 20 anni vive a Gerusalemme, spiega così come si sente oggi. Ma come madre ha sulle spalle anche il peso di spiegare ai suoi figli il protrarsi di questo enorme stravolgimento. Un quadro oscuro, ma rischiarato dal coinvolgimento della società civile. Ogni cittadino dà il suo contributo nel portare conforto a chi sta peggio e una meravigliosa generazione di ragazzi sta crescendo, sentendosi già responsabile del proprio compito.




Roberto Della Rocca abita in Israele da ben 45 anni, più precisamente a Ramat Gan, nell’hinterland di Tel Aviv. Medico veterinario, esperto di sicurezza alimentare (ma anche attore), sposato con due figli, di cui una Tenente Colonnello riservista dell’aeronautica militare. Una vita che potrebbe essere tranquilla se non fosse che il 7 ottobre è ancora un trauma ben lungi dall’essere superato per chiunque viva in Israele. Si insegue la normalità, ma è impossibile da dimenticare il dramma degli ostaggi, l’apprensione per i soldati, la necessità di aiutare gli sfollati. E allora tutto diventa più complicato e affidato alla speranza che il Paese possa un giorno vivere in pace.




Dal ‘95 in Israele, Daniel Lanternari vive con la sua famiglia nel Kibbuz Nirim, ad appena 3 chilometri dal confine con la striscia di Gaza. Quella che ci racconta è una drammatica testimonianza in prima persona dell’attacco del 7 ottobre. È sopravvissuto agli spari dei terroristi che miravano a lui e a suo figlio, passando poi ore nella camera di sicurezza mentre i nemici provano ad entrare. Non tutti i suoi vicini di casa sono stati così fortunati: otto ragazzi del Kibbutz sono stati uccisi e altri membri della comunità sono stati rapiti. La vita per Daniel è continuata, ma in una dimensione precaria che ha diviso la sua famiglia in varie zone del Paese.




Da più di 30 anni Daniela Camerini Librus vive a Giv'atayim, un sobborgo di Tel Aviv, ha due figli e lavora in un’azienda importatrice in Israele del gruppo Stellantis. Suo marito ha vissuto la guerra del Kippur e anche lei, in 30 anni, ha vissuto l’esperienza di razzi, missili e attentati. Tutto questo aveva dato alla famiglia l’illusione che niente di così traumatico potesse ripetersi. Eppure, oggi Daniela sente di vivere più che mai sul filo del rasoio. Ci parla da un mondo in perenne ansia per gli ostaggi (il suo pensiero in particolare va al piccolo Kfir Bibas del Kibbutz Nir Oz, ancora oggi prigioniero a Gaza), per i militari, per i profughi, ma ci parla anche di una società forte e unita, sicura che Israele potrà ancora una volta vivere il suo futuro.




Claudia Sabbadini, Psicoterapeuta e responsabile anche del team paramedico nelle scuole presso il Ministero della Pubblica Istruzione d'Israele, è la persona più indicata per parlarci dei riflessi psicologici di ciò che stanno vivendo i cittadini di Israele. Dal 7 ottobre, tramite la sua associazione IMDR, ha fatto volontariato, offrendo gratuitamente sedute terapeutiche alle persone che hanno dovuto lasciare le loro case minacciate dai continui attacchi missilistici, ai sopravvissuti alla strage del festival Nova e, ultimamente, ai soldati impegnati al fronte di Gaza per recuperare le conseguenze dello stress post traumatico. Anche lei ha una figlia che fa il soldato e sa bene che il suo compito è trasmettere a tutti la forza necessaria per superare questi difficili momenti.




È visibilmente commossa Alice Silva, insegnante di italiano che da 11 anni abita a Gerusalemme con la sua famiglia. Lo è nel rievocare lo sbigottimento della mattina del 7 ottobre, che per lei è stato anche il giorno successivo al suo matrimonio, o nel ricostruire un piccolo lessico di parole in ebraico che hanno pervaso la loro vita da quel giorno e come “Hatufim”, rapiti, o “Mehablim”, terroristi.  Ma il suo intervento ci regala anche una frase che spiega perfettamente la sensazione che ciascuno dei cittadini di Israele prova nei confronti di chi è ancora nelle mani di Hamas: “Non ho mai provato così tanta malinconia per qualcuno che non conosco”.




Joe Shammah ha voluto mandarci da Tel Aviv un messaggio dal contenuto davvero significativo. Ha scelto di raccontarci con competenza e ricchezza di dettagli tecnici il “distretto industriale” del terrorismo creato da Hamas a Gaza. Ne emerge il quadro di una città e di una popolazione trasformata dai terroristi in una macchina da guerra dove attirare il nemico. “Gaza è governata dai tunnel -spiega Shammah - un’opera ciclopica pari alle piramidi egizie”. Scavarli è stato parte dell’economia di un datore di lavoro unico che ha dirottato i fondi dell’Onu per creare ricchezza e protezione per i suoi leader. Un sistema di potere in cui compiere atti di terrorismo dà accesso alla casta privilegiata che è al comando. Una descrizione che non troverete sui media europei e anche per questo è un testo da diffondere, parola per parola, compreso il commovente appello con cui chiude il suo intervento. 




Herzliya il sobborgo di Tel Aviv da dove ci parla l’imprenditore Alberto Corcos, sembra un luogo idilliaco dove si trovano teatri, country club con piscina e… un poligono di tiro.  Un simbolo di quello che vive oggi Israele: da un lato una vita pressoché normale, dall’altro chi si allena per difendersi. Parte da qui un’analisi che indaga altri aspetti apparentemente duplici di un Paese in cui il 7 ottobre ha innescato un rinnovamento delle strutture, mentre ciò che rimane fisso nei cittadini è l’esigenza di un Israele stabile e pluralista come è stato dalla sua fondazione. L’altra parte della testimonianza di Corcos riguarda invece la vita quotidiana, il dolore per i caduti, l’aumento del costo della vita, i profughi dal Sud e Nord… ma è proprio tutto questo ci mostra anche la coesione di un Paese unito dalla terribile prova che sta attraversando.




Davide Nizza si qualifica come guida turistica, ma chi lo conosce sa che è un eccesso di modestia. E’ stato insegnante, Preside ed è un uomo di straordinaria cultura. Ha scelto di parlarci del quotidiano, spiegandoci in che modo il 7 ottobre abbia impattato sulle piccole e grandi cose. Di come alcuni lavori vadano a rilento perché le persone sono state richiamate nell’IDF (come suo figlio di 37 anni), o sia difficile trovare certi prodotti nei supermercati. Ma ci racconta anche di una vita che continua nonostante tutto, come nel traffico di Gerusalemme, dove vive, nei treni in orario o nei cantieri per la metropolitana di Tel Aviv. E persino di come ci si possa svegliare dopo notti angosciate stupendosi che gli uccelli cantino ancora sui rami.




Le parole che Lia Rabello ci invia da Kfar Saba sono una dichiarazione d’amore per una terra in cui vive da più di 50 anni e che oggi vede minacciata come non mai.  “Sono venuta in Israele dopo aver sentito la storia della Shoah dai miei genitori ed ero più che sicura che sarebbe stato il posto migliore dove crescere i miei figli... Ho visto guerre, ho vissuto attentati, ma una cosa del genere era imprevedibile, terribile… molto peggio di un pogrom, perché sono entrati dentro le nostre case, nessuno avrebbe potuto pensare a una cosa del genere”. È una testimonianza che ci ricorda anche l’angoscia di un paese piccolo, dove ogni vittima di questa guerra è sempre parente o amico di qualcuno. Infine ci porta nella realtà di un centro per invalidi di guerra che quest’anno ha dovuto aprire due nuovi padiglioni per assistere i ragazzi feriti nei combattimenti.




Marina Finzi Norsi è un nome ben conosciuto sia in Italia sia in Israele, dove vive dal 1968. Stimata Pediatra, oggi abita a Gerusalemme e ci tiene a ricordarci di essere nonna di 8 nipoti, quattro dei quali richiamati nell’IDF. Con noi condivide l’emozione di aver assistito alla prima pietra per la ricostruzione di un nuovo quartiere del Kibbutz di Be’eri. Un messaggio significativo per dire che dopo il 7 ottobre la vita avrà il sopravvento sulla morte, come insegna da millenni la storia del popolo ebraico.




Sissi Pagani ama Israele: si è trasferita a Tel Aviv nel 2015 con il suo compagno Marco e ha aperto una gelateria. Ma in questi nove anni non ricorda di aver mai vissuto una situazione così allarmante, vive con preoccupazione le notizie che arrivano del Nord del Paese, vede gli sfollati arrivare in città, sente l’elenco dei caduti: “È come avere un sasso nello stomaco” dice. Ma percepisce anche altro: la solidarietà della gente e la necessità di cercare di fare ognuno qualcosa per aiutare il proprio Paese con la certezza che Israele non scomparirà. Ecco, ora sapete dove mangiare il gelato a Tel Aviv… e per tutti i soldati dell’IDF in servizio, offrono loro.

(N.B. il video di Sissi Pagani è stato registrato prima dell'attacco a Tel Aviv del 19 luglio.)




Il paesaggio pastorale alle spalle di Luciano Assin sembra un giardino dell’Eden. È il Kibbutz Sasa al confine con il Libano, in cui abita da più di 40 anni. Ma l’Eden ha un serpente pericoloso: i frequenti attacchi con razzi e droni di Hezbollah che devastano le colture e mettono in ginocchio le persone e l’economia di una zona basata sull’agricoltura, aumentando la paura costante degli abitanti. Di fatto oggi Luciano, come tutta la sua comunità, è uno sfollato, potendo recarsi a Sasa solo il tempo necessario per il lavoro e per controllare se la sua casa è ancora in piedi.




Comincia con una lista di nomi la testimonianza di Mara Vigevani: sono quelli delle vittime dell’attacco del 7 ottobre al Nova Festival, dei rapiti dai terroristi di Hamas, dei soldati caduti che abitavano nel quartiere di Arnona a Gerusalemme. Erano suo i vicini di casa, persone reali che conoscevano tutti. “Il 7 ottobre ha insegnato a tutti che la storia di Israele è breve e che 76 anni possono essere cancellati in pochi minuti” continua Mara, mentre la sua testimonianza diventa una riflessione su come difendere questo fragile futuro.




Siamo particolarmente grati a David Zebuloni, giornalista di Libero Quotidiano, per il suo contributo alla nostra Rubrica “Voci da Israele”. La sua è un’analisi lucida di come è cambiata la vita di tutti gli Ital-Israeliani in un Paese così bello che sta vivendo un’ora così buia. C’è una frase che colpisce particolarmente: “Raccontare Israele in questo periodo significa anche non essere capiti, c’è un non-impegno nel cercare di immedesimarsi in una realtà che invece è molto più vicina all’Italia di quanto non si creda”. Per Zebuloni diventa così una missione usare le parole per portarci nel Kibbutz Be’eri letteralmente carbonizzato dall’attacco di Hamas, farci conoscere la forza dei sopravvissuti del Nova Festival, o dei parenti delle persone sequestrate dei terroristi in quella che è ormai nota come piazza degli ostaggi. Persone che hanno trasformato il loro dolore in un messaggio che è per tutti noi.




Ghila Piattelli, romana di nascita, vive in Israele dal 1992 ed è una scrittrice ben conosciuta anche in Italia: il suo romanzo “Resta ancora un po’” è stato finalista del Premio Letterario ADEI WIZO Adelina Della Pergola nel 2021.

E’ lei la protagonista del quarto appuntamento di “Voci da Israele”, attraverso una dettagliata video testimonianza da Ra'anana, una città che lei definisce “geograficamente privilegiata” per aver scampato gli attacchi missilistici, dove però si vive in altri modi la realtà di un paese in guerra: dall’ospitalità  agli sfollati, alla riabilitazione dei soldati feriti, al timore per i tanti concittadini al fronte e per Naama Levy, la ventenne rapita e tenuta prigioniera da Hamas da 9 mesi. Ma Ghila, con la sua sensibilità, è capace anche di vedere le piccole cose positive di questi difficili momenti: ci parla dei miracoli di Israele, dell’impegno delle giovani generazione e di quanto un abbraccio possa contribuire a fare rinascere la speranza.  




Il terzo contributo per Voci da Israele ci arriva da Daniela Fubini, giornalista ed esperta di marketing, nata a Torino, ma israeliana di adozione. Le immagini dal moshav di Kokhav Michael dove vive, ci mostrano un bellissimo giardino, ma se la natura riprende a fare frutti, per gli esseri umani è molto più difficile ricominciare il corso della propria vita. Daniela Fubini ci parla dell’angoscia per le persone care impegnate nei combattimenti a Gaza, appena 12 chilometri da lì e di una guerra che si fa sempre più difficile per i civili al nord. Emerge dalle sue parole anche un accorato desiderio che il mondo conosca la loro realtà, così intrisa di precarietà di fronte ad una violenza capace di manifestarsi in ogni momento. Esattamente il messaggio che l’ADEI WIZO vuole contribuire a diffondere attraverso questa rubrica.




La seconda delle nostre “Voci da Israele” è Shany Piattelli. 22 anni, una vita interrotta il 7 ottobre 2023, quando ha dovuto lasciare gli studi, gli amici e la normale vita di una ragazza come tante, perché richiamata dall’IDF per ben due volte negli ultimi mesi. Shany non è Wonder Woman. Fa la sua parte, ma oltre ai nemici deve combattere la paura, specialmente quella di una giovane donna che ha ancora negli occhi i filmati delle ragazze rapite e stuprate dai terroristi di Hamas e sa che, se catturata, potrebbe fare la stessa fine. Un timore che emerge dalla spontaneità del suo racconto e che ci ricorda quanto gli eroi non sono mai quelli che non conoscono la paura, ma le persone che si sforzano ogni giorno di conviverci.

Oggi che nuvole della guerra sembrano addensarsi ancora di più, Shany sta per essere richiamata nell’esercito una terza volta. Non si augura di uccidere nessuno: vuole solo difendere il suo diritto a vivere tranquilla in una terra in pace.




Il primo contributo di Voci da Israele viene da Angelica Calo Livne, insegnante, educatrice, formatrice, regista, scrittrice, fondatrice e direttrice artistica della Fondazione Beresheet LaShalom – Un inizio per la pace – con sede in Alta Galilea in Israele. La sua testimonianza ci fa percepire tutta la precarietà di chi vive e lavora nel Nord di Israele, anche perché proprio mentre parla risuonano le esplosioni degli ordigni lanciati da Hezbollah, che la costringono, come ogni giorno, a correre nei rifugi. La mente può anche sopportarlo, ma il corpo no.







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